La morte di Grey

Grey, l’agenzia di pubblicità, è stata ammazzata. È stata ammazzata dai propri padroni, un’azienda che una volta produceva carrelli per la spesa e che oggi ciancia di essere una Creative transformation company, whatever the fuck that means.

In mezzo, per uno strano caso del destino, WPP ha comprato un grande numero di agenzie di pubblicità, senza però capire mai molto di pubblicità. Se hai due brand, AKQA e Grey, quanto devi essere scemo per preferire il primo al secondo?

E questa gente poi vuole disegnare strategie di branding per la tua azienda?

1917

Grey fu fondata nel 1917, l’anno della rivoluzione in Russia.

Grey fu la prima fra le cosiddette Seventh Avenue Agencies, in mano a impresari non WASP, in questo caso ebrei che lavoravano per le aziende, spesso di ebrei, che producevano vestiti nel Garment District di New York, a fare il grande salto.

Grey fu dove trovò il primo lavoro importante Bill Bernbach, e dove produsse pubblicità come queste per Orbach’s, un grande negozio di vestiti newyorkese.

Grey fu l’agenzia dove Bernbach divenne inquieto, contrario all’idea della pubblicità scientifica e dove finì per scrivere questa lettera ai suoi capi.

Grey è stata l’agenzia di Procter & Gamble per 6 o forse 7 decenni. E quelli di P&G, loro sì ne capiscono di brand e di riconoscenza e non si sono scordati della cosa.

Grey lavora per un quinto delle Fortune 500, le 500 più grandi aziende al mondo.

Vs.

AKQA is a digital design and communications agency.

Mala tempora.

Tenerti loggato a tradimento

È questa, mi sa, la strategia dei siti per l’era post cookie di parti terze.

Google ormai mi obbliga a fare 6 click per fare log-out da Gmail da web.

Facebook mi ha già fatto diverse volte lo scherzo di farmi credere di aver fatto log-out con un solo click, ma se poi clicco sul loro logo, vedo che sono ancora loggato. Bastardi.

E poi c’è Gmail sul telefono. Android lasciamo stare, che è un filo diretto con la Stasi.

Ma anche su iPhone, e anche se non installi l’app do Gmail ma provi a usare un client esterno tipo Mail di Apple oppure Unibox, sei sempre loggato in Google.

C’è poco da fare: i loro interessi e i miei confliggono. Bisogna separarsi e alla svelta.

Riempimento

Fino a vent’anni fa, anche un articolo insulso come questo aveva molto senso.

I giornali erano di carta, e il numero di pagine doveva essere un multiplo di quattro, spesso 48 o 52. E vi era la fila di persone che volevano comprare gli spazi pubblicitari.

Un giorno, già in questo secolo, incontrai un’amica che non vedevo da un po’ e che si era messa a vendere pubblicità per un grande editore di settimanali e mensili italiano.

Lavoro duro!, esclamai. E lei: no, è un lavoro di relazioni. I clienti mi chiamano e mi dicono: Francy, mi raccomando che il prossimo mese ci devi tenere una pagina intera…

Che vendessero scarpe, orologi o mobili da cucina, cambiava poco. Gli spazi erano limitati e bisognava tenersi buoni Francesca, a cui poi avrebbero fatto un regalo a Natale.

Il mondo è cambiato

Il mondo è cambiato, ma in tanti sembrano non accorgersene. E non certo solo al giornale che fu di Montanelli. Cosa possiamo dire degli articoli della Gazzetta sulle WAGs?

E che dire del progetto web de Il Fatto Quotidiano? A cosa serve quella marea di articoli scritti male e pensati peggio (e pagati ancor peggio) firmati da aspiranti giornalisti?

A farmi smettere di leggere — ormai il giornale italiano che leggo di più è La Gazzetta. E anche quella, la leggo comunque meno di Marca, che almeno mi serve per lo spagnolo.

Possibile che non capiscano che non vi è più niente da riempire, e che provare a riempire il web con WordPress è un po’ come svuotare il Mediterraneo con il cucchiaino?

Google e il bagnato

Cosa succederà con la scomparsa — tempo due anni — dei cookie di parti terze?

Gli editori seri ti chiederanno di iscriverti e fare login per leggere gli articoli.

Metà degli indirizzi email al mondo sono GMail.

Tre persone su quattro usano Android e Chrome.

Il 90% delle ricerche, in Europa, sono con Google.

In altre parole, per Google piove sempre sul bagnato.

Quindi?

Quindi bene per Apple, che si posizionerà sempre più come un’azienda che tutela la privacy e che presto passerà a essere un’azienda che si occuperà della tua salute.

Bene per Google, che porterà a termine il processo di distruzione delle concessionarie e di tutto il settore ad-tech e che rimarrà l’unico attore a vendere spazzatura (banner).

Bene per gli utenti, che passeranno da essere spiati da centinaia di aziende che poi neppure sanno cosa fare di quei dati a essere spiati (meglio) da una sola (Google).

Bene per gli editori grandi, che faranno fuori i piccoli; non solo i produttori di stronzate e falsità in serie, ma anche chi semplicemente ha una visione diversa del mondo.

Male

Male, invece, per le aziende che passeranno da comprare spazzatura (banner) in un modo a comprarne in un altro modo, ma sempre senza capire cos’è, e cioè spazzatura.

Ma, d’altra parte, per i cretini va sempre male, e forse è anche giusto così.