Riempimento

Fino a vent’anni fa, anche un articolo insulso come questo aveva molto senso.

I giornali erano di carta, e il numero di pagine doveva essere un multiplo di quattro, spesso 48 o 52. E vi era la fila di persone che volevano comprare gli spazi pubblicitari.

Un giorno, già in questo secolo, incontrai un’amica che non vedevo da un po’ e che si era messa a vendere pubblicità per un grande editore di settimanali e mensili italiano.

Lavoro duro!, esclamai. E lei: no, è un lavoro di relazioni. I clienti mi chiamano e mi dicono: Francy, mi raccomando che il prossimo mese ci devi tenere una pagina intera…

Che vendessero scarpe, orologi o mobili da cucina, cambiava poco. Gli spazi erano limitati e bisognava tenersi buoni Francesca, a cui poi avrebbero fatto un regalo a Natale.

Il mondo è cambiato

Il mondo è cambiato, ma in tanti sembrano non accorgersene. E non certo solo al giornale che fu di Montanelli. Cosa possiamo dire degli articoli della Gazzetta sulle WAGs?

E che dire del progetto web de Il Fatto Quotidiano? A cosa serve quella marea di articoli scritti male e pensati peggio (e pagati ancor peggio) firmati da aspiranti giornalisti?

A farmi smettere di leggere — ormai il giornale italiano che leggo di più è La Gazzetta. E anche quella, la leggo comunque meno di Marca, che almeno mi serve per lo spagnolo.

Possibile che non capiscano che non vi è più niente da riempire, e che provare a riempire il web con WordPress è un po’ come svuotare il Mediterraneo con il cucchiaino?

Open di Mentana

Qualcuno di voi ha capito che novità sarebbe Open, il giornale di Mentana?

Leggo che sarebbe un giornale online, fruibile prevalentemente da mobile. Guardate che non è necessario fare un sito web brutto perché questo sia fruibile su mobile!

Leggo anche che Open rappresenterebbe un nuovo modello di giornalismo, con le ultime notizie e le immagini aggiornate in tempo reale, 24 ore su 24. Sticazzi.

Secondo me un nuovo modello sarebbe tutto il contrario, tipo un giornale che non segue l’ultimo avvenimento o l’ultimo gossip o cosa è trending in ogni secondo su Twitter.

Ma forse sono io che non capisco. Un po’ come non capisco perché debba essere uno di sessant’anni a mettere in piedi un giornale sul quale possano scrivere i gggiovani.

I giornali del futuro sono di carta

Ieri sono stato al MUST di Vimercate per una mostra su Depero.

Tu ti ricordi di un singolo banner che fra un secolo finirà in una mostra d’arte?

Il web, o almeno questa idea del giornale gratuito sul web pagato dai banner è un errore storico. Come le automobili in città, oppure la presenza delle aziende sui sosciàl.

Dicono: eh, ma la gggente passa x ore sui sosciàl o legge il giornale online. Se è per questo, la gente passa anche mezz’ora al cesso tutti i giorni, ma ciò non rende il cesso un posto dove abbia senso comprare pubblicità. E il paragone fra il cesso e il web ci sta tutto.

I giornali del futuro sono di carta!

Quello che metti sul web è un loss leader, in modo che poi prendano al volo le tue 4 pagine del Corriere della Sera gratis in metropolitana e non quelle dei competitor. Quattro pagine, con la quarta di pubblicità. Perché la pubblicità sulla carta funziona. O può funzionare, almeno. E sai che la compri sul Corriere, e che non finirà su un video jihadista.

O su Frank che fa le scoregge sulla gente al Parco Sempione.

Quello che metti sul web è un loss leader, in modo che poi si abbonino alla tua versione premium online. Purché tu abbia contenuti di qualità da vendere.

Quello che metti sul web è un loss leader, in modo che poi il sabato mattina comprino “Corriere della Sera Week-end”. Sveglia, che si sta facendo tardi.

Ti ricordi RSS?

Ti ricordi RSS? Bisognava dare ai lettori i propri contenuti, anche gratis e senza pubblicità, perché poi venissero anche sul sito dei giornali, dove c’erano i mitici banner.

Che però vengono venduti a una frazione (un decimo?) di quanto si sperava.

Quanti giornali mi segnalano ancora che posso scaricare il feed delle sezioni?

L’idea della content syndication non è morta. Solo che chi lo farà si farà pagare.

E pagare bene.

Giornali, Musica, TV

Apple lancerà un servizio tipo Apple Music, ma per le notizie.

Se in Music tengono il 30% dei ricavi, con le notizie chiedono il 50%.

Alla televisione americana HBO chiedono il 15%.

E c’è ancora chi ciancia della morte prossima ventura della televisione.

E su Facebook torneranno i gattini

Con il cambio nel feed del sito blu, i giornali che pensano di poter continuare a produrre “contenuti” di bassa qualità un tanto al kg sono fottuti. E su Facebook torneranno i gattini.

Difficile dirlo meglio:

Google and Facebook have already eaten the digital advertising industry; now Facebook will even stop providing many of the sad pageviews that trigger the sad adtech that triggers the sad remnant display ad.

Preparatevi a tanti gattini, foto dei piedi in spiaggia e simili cazzate. Per le notizie vere c’è la BBC. Per analisi un po’ serie, il New York Times, Le Monde o The Economist.

Per un po’ di rissa politica e le foto delle fidanzate dei calciatori, leggi i giornali italiani.

Il declino di Google e Facebook

Vorrei parlarti de il declino di Google e Facebook. O, più precisamente, del loro diventare aziende normali, che è poi la stessa cosa. E’ ormai finito il periodo d’oro della loro crescita esplosiva. Da qui in avanti, la legge di gravità varrà probabilmente anche per loro.

Search

Google nasce nel 1998. Quando si quota al Nasdaq nel 2004, è un motore di ricerca che aveva fatturato poco più di un miliardo di dollari (2003) e che per il 1° di aprile aveva regalato una casella di posta elettronica da 1 GB, quando tutti gli altri ti davano 5 MB.

Alla prima riunione con gli analisti di Wall Street, Larry Page manda lo chef.

Si sposta sul web la pubblicità che, negli USA, ti faceva arrivare a casa la domenica un’edizione del giornale che pesava diversi kg, piena com’era di pubblicità locale, offerte speciali per il taglio di capelli il martedì, aperture di un nuovo gommista etc.

Adwords prende il posto delle pagine gialle. I classified ads per vendite e affitti di case, offerte di lavoro, auto usate e i dispenser delle caramelle Pez, tanto amati dalla fidanzata del fondatore di Ebay, si spostano sul web. I giornali entrano in una grave crisi.

Banner

Il successo di Adwords è tale che i prezzi per molte keyword schizzano alle stelle, al punto che iniziano a sembrare interessanti in ottica di direct response persino i banner.
Nel 2003 fa il suo debutto Google AdSense. Nel 2007 Google compra DoubleClick.

Seguono dieci anni di progresso, per così dire, del settore Ad Tech, con la possibilità di far vedere pubblicità solo a certi profili di utenti e non a tutti i visitatori di un certo sito, ammesso e non concesso che questo sia davvero utile o un passo in avanti.

Passa l’idea che (quasi) tutta la pubblicità venga venduta con un’asta, al prezzo più alto. Ma se l’offerta di spazi è superiore alla domanda, assistiamo a un crollo degli incassi per gli editori di qualità e a un generale livellamento verso il basso dei contenuti.

Per le aziende Ad Tech, però, le cose vanno bene. Si vuole, anzi, estendere il modello.

YouTube

Nel 2006 Google compra YouTube, pieno di spezzoni di film e di programmi TV piratati. Come i banner sono stati salvati (meglio, fatti rendere per quel poco che potevano rendere) da Ad Tech, la stessa cosa succederà prima su YouTube e poi anche in televisione!

No, a dire il vero. In primo luogo, perché Sumner Redstone, azionista di maggioranza di CBS e Viacom, porta YouTube in tribunale. Google accetterà la responsabilità di controllare cosa viene postato su YouTube e di pagare licenze ai titolari dei diritti.

In secondo luogo, perché gli inserzionisti non sembrano entusiasti di comprare pubblicità su un sito dove si trova di tutto, ma proprio di tutto, dal famoso video delle Mentos, a Frank che scoreggia sulla gente al parco, fino a video neo-nazisti o jihadisti.

Ancor meno riesce Google a estendere il proprio modello alla televisione.

Facebook

Lo sfigatissimo passatempo di Mark Zuckerberg al college, nato con lo scopo di “dare i voti” (sic) alle compagne di università fa il salto con l’acquisto di Friendfeed, diventando una piattaforma dove scrivere cose personali o commentare le notizie dei giornali.

Facebook (e Instagram) non sono altro se non la democratizzazione del Grande Fratello: invece di spiare i cazzi (interessantissimi) di Taricone, ti danno uno stream continuo dei cazzi o delle idee politiche di amici e conoscenti. Quando si dice il progresso!

Quando Facebook dichiara un miliardo di utenti, il mondo non sarà mai più come prima: ogni azienda deve esserci, attratta dall’idea di poter mandare messaggi gratis ai propri fan. Ben presto non più gratis, bensì pagando, per la gioia degli investitori.

Il confine fra contenuti e pubblicità sembra ormai un ricordo del passato.

Il futuro è la televisione

Google e Facebook continuano la propria corsa, all’apparenza inarrestabili. Negli Stati Uniti, il duopolio porta a casa 3 dollari su 4 della “pubblicità” (si fa per dire: è direct marketing) su Internet, e addirittura il 99% dei nuovi investimenti sul web.

Il problema è che questo filone aureo (si fa per dire) si è ormai esaurito.

Google e Facebook hanno un rapporto price per earning che è il doppio di quello di altre aziende media americane, ma non hanno più praterie davanti a sé da conquistare e facili e prevedibili guadagni futuri che possano giustificare un elevato rapporto P/E.

Per difendere il proprio titolo in Borsa, devono attaccare la pubblicità di tipo brand.
E la pubblicità di tipo brand non va sui banner, non va sui social e non va sui video delle Mentos, bensì in televisione, su programmi come serie TV, film e sport.

Google o Facebook dovranno reinventarsi come produttori di contenuti di qualità, come ha già iniziato a fare Netflix. Ma che vantaggio competitivo possono vantare Google o Facebook su Disney (ABC), Comcast (NBC), Viacom (CBS) o Time Warner (HBO)?