Ti ricordi i blog?

No, intendo dire: Ti ricordi i blog prima che diventassero meri ripetitori della visione del mondo che ci veniva prima suggerita e poi sempre più imposta dalla Silicon Valley?

Poi uno dei primi blogger si mise addirittura a seguire un sacco conferenze in giro per il mondo, per raccontarci in diretta cosa dovevamo pensare riguardo al futuro.

Ti ricordi i blog prima che diventassero dei meri siti verticali (vortals, LOL) powered by WordPress da riempire con “contenuti” per poi metterci sopra dei banner?

Ti ricordi i blog prima che diventassero l’ennesima gara italiana a chi ce l’aveva più lungo, a chi aveva più visitatori, più share, neanche fossimo stati in televisione?

Ti ricordi i blog quando ancora ci si chiamava per il nome del blog eppure nessuno di noi pensava di star facendo un esercizio di personal branding? Bei tempi.

Jorge

George gioca a baseball nella squadra della sua high school a New York. Mentre i suoi amici pensano a dove andare a studiare al college, George ha altri piani.

Finita la scuola, e contro il parere dei suoi genitori, decide che bisogna vivere un po’ e che vuole realizzare il suo sogno di guadagnarsi la vita giocando a baseball.

George sa di potercela fare, se si accontenta. Mette insieme un borsone e salta su un autobus. Ben 45 ore, direzione Messico, dove verrà subito ribattezzato Jorge.

George è oggi un pubblicitario di sessanta e qualche anno, che se la deve vedere ogni giorno coi gggiovani che sanno tutto perché hanno tanti follower su Instagram.

Il suo blog, fatto di post sulla pubblicità, su New York, sulla vita, su quella stagione in Messico e sulle notti insonni passate a Saltillo è il più bel blog che io abbia mai trovato.

Coming soon

Amici, pidioti, sinistri, tecnopaninari, carampane e femmine che vanno alle “girl geek dinner” milanesi, neanche fossero state compagne di tecno-sesso selvaggio e sperimentale con Larry e Sergey a Stanford o al Burning Man, quando in realtà fanno le venditrici di banner…

Ops, forse avrei potuto scriverla meglio, la captatio benevolentiae…

Volevo annunciarvi che scriverò un altro libricino.

(rullo di tamburi)

Più importante, questa volta, delle cazzate che ho scritto finora.

Perché, tutto sommato, non me ne fotte una beata minchia che un’azienda voglia buttare nel cesso milioni da dare “ai ragazzi” (quarantenni) che si occupano “di Internet” o quello che rimane a fine anno del budget alla gnocca di turno (o supposta tale) che si occupa “dei sosciàl”.

E’ molto più grave, invece, quando soccombono alla moda del momento e al giovanilismo imperante i giornalisti o le amministrazioni pubbliche, che siano il Comune di Milano o l’Ajuntament de Barcelona cambia poco.

Non mancherò di rompervi il cazzo (volevo dire, tenervi aggiornati) su come procederà la stesura del lavoro.

Bacio le mani.

Il libro è pronto: L’ideologia di Internet.

In prevendita in inglese: The Internet Ideology.

Getting Better

Meglio scrivo, e meno mi leggete.

Meno mi leggete, e più mi sento libero.

Più mi sento libero, e meglio scrivo.

So che è pieno di blogger che hanno fatto il percorso opposto.

Per vendere le loro audience.

Sono quelli che fanno gli influencer.

Vendono marchette, insomma.

Io mi chiedo, felice: arriveremo, un giorno, a dotcoma zero?

Lo stato della blogosfera italiana

A furia di leggere i miei vecchi post pieni di broken link sono arrivato a una mesta conclusione su lo stato della blogosfera italiana: dei blog che parlavano di web e tecnologia, ne rimangono tre: Mantellini, Diegoli e De Biase, quest’ultimo con una home assurda e molto bella al tempo stesso, e un indice che ricorda quello del Televideo.

Poi ci sono quelli scritti a più mani: èngheig (engage.it), la comunità delle marchette del mondo dell’adv. Esce la velina che dice che la tal azienda fa questa iniziativa, la si pubblica e amen. E’ su WordPress, ma nessun commento, e ovviamente nessun dubbio espresso dalla redazione prima o nessun check dopo su come è andata la campagna.

Infine c’è CheFuturo, che è una bellissima idea di Riccardo Luna che però a mio modesto avviso soffre di alcuni problemi, tipo un alto turnover di chi scrive gli articoli, una certa tendenza tutta italiana di alcuni di costoro a usare lo spazio per farsi delle auto-marchette e, non ultimo, il fatto che di vita e di commenti ve ne siano proprio pochi.