Capitolo 6 – Come eBay. O quasi…
Ma è possibile che non ce la faccia proprio nessuno? Beh, in effetti ci sarebbe questa società nata dall’idea di un geniale programmatore Franco-Iraniano, tale Pierre Omidyar. EBay è una realtà e-commerce un po’ particolare, se è vero che sono i clienti stessi a mettere in vendita i prodotti, a promuoverli, a tenere il magazzino, ad incassare i soldi e ad effettuare le spedizioni.
Non solo: invitano i propri amici, forniscono un vero e proprio servizio di customer care informale ai nuovi iscritti, giudicano l’affidabilità o meno degli altri clienti e venditori, tengono d’occhio che non succedano irregolarità. E pagano per il privilegio di fare tutto ciò. In effetti, c’è un’altra caratteristica davvero peculiare di questo strano sito di e-commerce: fa profitti. Ottimi profitti.
eBay
eBay ha una storia diversa dalle dot-com di cui abbiamo parlato finora. Tanto per iniziare, non viene fondata con milioni di dollari di Venture Capital da un aspirante milionario, ma da un programmatore, tale Pierre Omidyar, da solo, durante il Labor Day Weekend del settembre 1995. [1] Così, per hobby. Pierre non sogna di diventare ricco. E’ già milionario, a soli 28 anni. [2]
Lo stesso, continua ad andare in giro per la Silicon Valley con una VW cabrio scassata, in pantaloni corti e T-shirt e con i capelli lunghi raccolti a coda di cavallo. Non solo: non ama la Borsa [3], è molto modesto, sa benissimo di aver costruito qualcosa di bello ma anche di fragile e quando finalmente si presenta dai Venture Capitalist, è più per avere consigli che non per avere soldi. [4]
Chi smania dalla voglia di rimettere la cravatta vorrebbe farci credere che eBay ha avuto successo perché molto “corporate”. Niente di più falso! E’ corporate creare una società in un weekend, senza business plan e senza Venture Capital? E’ corporate non voler fare previsioni per il futuro perché il fatturato cresce così tanto e non ci si sente sicuri su come tracciare le curve di crescita? [5]
E’ corporate fare le riunioni in una stanza chiamata “The Beach” e arredata con sedie a sdraio? [6] E che dire dell’idea? L’idea che perfetti sconosciuti avrebbero comprato e venduto oggetti fidandosi gli uni degli altri attraverso un sito Internet che vuole essere prima di tutto una piazza e un luogo di aggregazione è corporate secondo voi? State scherzando, vero?
E gli altri…
Se vogliamo capire le vicende di Aucland e di iBazar dobbiamo provare a guardare alla Germania. Colonia, marzo 1999: i tre fratelli Samwers e tre loro amici riescono a raccogliere 50,000 Euro da amici, conoscenti, parenti e qualche piccolo investitore e se ne vanno a Berlino a provare a lanciare un servizio di aste come eBay dal quartiere turco di Kreuzberg dove gli affitti costano poco.
In un niente Alando.de arriva a 50,000 iscritti e a vendere più di 250,000 oggetti. I ragazzi tedeschi hanno un rapporto eccezionale con la comunità dei trader, e in California capiscono ben presto che rappresentano un pericolo molto maggiore per i piani internazionali di eBay che non i loro rivali di Ricardo.de [7], certo più ricchi ma anche con meno spirito di comunità [8].
Pierre vola a conoscerli a Berlino, e uno dei ragazzi si presenta all’aeroporto con una vecchia Golf. Ne ho una anch’io, gli dice Pierre, pur miliardario in dollari, ormai. Passano solo poche settimane, e eBay compra Alando.de per 42 milioni di dollari in azioni. In Francia la cosa non passa inosservata, e sia Aucland sia iBazar ottengono un paio di decine di milioni di Euro di VC di lì a pochi mesi.
Aucland
Il Paese delle aste, auction-land, penso. Nato a Nizza dopo una cena in pizzeria, il progetto raccoglie la bellezza di 115 milioni di franchi [9] (18 milioni di Euro) nel settembre 1999. I soldi sarebbero dovuti durare due anni, ma finiscono dopo soli nove mesi. Per forza, Internet cresce così velocemente, si giustifica il fondatore. [10] I costi, di sicuro. Ma i ricavi?
Boh, chissenefrega, tanto ci danno altri 200 o 400 milioni di franchi. [11] Ma come 200 o 400? Insomma, fra 30 e 60 milioni di Euro ci sarà un po’ di differenza, no? Certo: che più ne dai, più ne sbattono via. Aucland ha siti in Francia, Italia, Spagna e UK e 130 dipendenti. I ricavi? 300,000 franchi al mese. Già, novanta milioni di lire. 45,000 Euro, se preferisci. [12]
In Italia Aucland ha 15 persone e spende una decina di miliardi in pubblicità. Si va anche in TV, ovviamente, con una pubblicità bella ma un po’ fantozziana con i pompieri. [13] Poi ne succedono un po’ di tutti i colori, e addirittura Aucland.it viene messa in vendita all’asta su… iBazar! [14] Anche in Francia vi sono vari avvicendamenti al vertice, e infine a luglio 2002 la società decide di provare a fondersi con l’inglese QXL. [15] Quando si dice un matrimonio fra disperati…
iBazar
Agosto 1999: iBazar raccoglie 80 milioni di franchi [16], circa 12 milioni di Euro, e si lancia in un appassionato inseguimento di Aucland, il leader in Europa. [17] Se le due società avessero avuto successo, la loro sfida sarebbe stata ricordata per sempre, come quella fra Coppi e Bartali. [18]
Invece no. Se iBazar passa alla storia, è per le proprie pubblicità. In Italia, iBazar scegli Platinette come testimonial. La pubblicità fa molto rumore, molti meno iscritti e certo poco fatturato. Ma non importa. iBazar stessa è una pubblicità, una pubblicità per convincere eBay a comprarli.
Finalmente succede. Anche se un po’ in ritardo, a febbraio 2001, eBay compra iBazar per 2,25 milioni di azioni ordinarie, stimate ad un valore oscillante fra 66 e 112 milioni di dollari, ovvero fra un quinto ed un decimo di quella che era la valutazione dei tempi d’oro di inizio 2000. [19]
Bid.it
La risposta italiana ad eBay, e una società che dimostra come il Sud possa esprimere realtà di punta anche nei settori più avanzati. Così almeno si diceva un tempo. Prima del fallimento, insomma. [20]
Per il resto, Bid.it è un’azienda circondata dal mistero. So che le aste erano gratuite per i privati e che le aziende pagavano invece una percentuale sulle vendite, anche se alcuni mi dicono che la società non fosse proprio molto puntuale e intransigente nella riscossione dei propri crediti.
Non ho idea di quante persone lavorassero davvero al sito di aste, visto che la società aveva anche altre attività in campo Internet. Un peccato, anche perché devo dire che il sito era uno dei pochi con una propria personalità, oltre ad una mascotte simpatica.
QXL
In Italia è passato alla storia come… “ku ics elle”. In realtà, l’idea era che venisse letto… “quicksell”. Brillante. Se c’è una cosa nella quale le aste NON brillano, è proprio la velocità. E se c’è una cosa nella quale QXL non brilla, sono proprio le aste. In Italia QXL spende 10 miliardi [21] in pubblicità nel 2000: cartoline, affissioni, pubblicità in TV [22], in Fiera a SMAU [23]. Poi chiude. Capita.
Altro che eBay, questi di QXL sì che hanno capito tutto! Invece di un mercatino dove puoi trovare di tutto di più – nonché un’umanità se possibile ancora più varia dei prodotti in vendita, QXL compra prodotti di largo consumo e li mette in vendita online, nella speranza di trovare qualcuno che, preso da furore agonistico, fosse disposto a pagare un prezzo maggiore di quello che si può spuntare in un negozio – o perlomeno maggiore del prezzo al quale avevano comprato il prodotto dai distributori. Stranamente, non hanno molto successo [24].
note al Capitolo 6
[1] eBay vide la luce nel settembre 1995 con il nome di AuctionWeb sulla pagina personale di Pierre, raggiungibile all’indirizzo ebay.com/aw e divenne ufficialmente eBay solo quando, due anni dopo, fu finalmente pronta la nuova piattaforma tecnica che sostituì il mix di shareware e Perl messo insieme da Pierre durante quel lontano Labor Day Weekend del 1995.
[2] Pierre era uno dei fondatori di eShop, società software che creava tool per l’e-commerce. Pierre lasciò l’azienda nel 1994, ma mantenne delle quote della società che lo resero milionario quando, due anni dopo, l’azienda fu comprata da Microsoft.
[3] Pierre pensava che il mercato delle IPO fosse fondamentalmente ingiusto e fondò eBay proprio nella speranza di poter creare grazie a Internet un mercato diverso, libero, egualitario e trasparente. Paradossalmente, Pierre si ritroverà poi a giocare secondo le regole della Borsa e a dare proprio quelle informazioni e quelle possibilità che riteneva ingiuste e che criticava a quegli attori “più uguali degli altri” quando, nel 1998, eBay è in Road Show per presentare la propria IPO.
[4] Pierre non si presenta in pantaloni corti, ma poco ci manca. Pur vestito bene, non sembra certo uno di quei Mister Manager che avrebbero ottenuto decine di milioni di dollari per idee ridicole nei tardi anni ’90. Non solo: Pierre si presenta senza nessuna patinata presentazione stampata e, peggio, senza una conoscenza approfondita del fatturato di eBay, ed interessato quasi esclusivamente a parlare a braccia della sua società e del perché il suo modello era adatto a Internet.
[5] Quelli di Kataweb, ad esempio, questo problema non se lo ponevano di sicuro. Un insider mi ha raccontato che Kataweb stimava che i ricavi della pubblicità dovessero crescere – per sempre, immagino – del 45% sul mese precedente. Sarebbe stato un bel business model, non c’è che dire.
[6] Anche Google ha una certa aria anti-corporate, dalla mensa curata dell’ex chef dei Grateful Dead alle partite di roller hockey che si tengono regolarmente nel parcheggio aziendale.
[7] Ricardo.de deve averne fatta davvero tanta, di pubblicità in televisione, se l’ho vista io che non so il tedesco semplicemente facendo zapping da casa. Ricardo.de si è poi fusa con l’inglese QXL.
[8] A ottobre 2000, Pierre diceva ancora che non vi erano le condizioni giuste per comprare nessuna altra società europea di aste oltre ad Alando.de perché nessuna di esse aveva davvero capito cosa aveva reso eBay un posto così speciale e un sito di così grande successo. Si veda http://www.journaldunet.com/itws/it_omidyar.shtml. Qualche mese dopo eBay comprerà invece iBazar. Una mossa azzeccata oppure no?
[9] Si veda http://www.journaldunet.com/dossiers/bourse/acquisitions.shtml
[10] Si veda http://solutions.journaldunet.com/dossiers/viedessites/sites_aucland.shtml
[11] Si veda http://www.journaldunet.com/itws/it_grinda.shtml
[12] ibid
[13] Si veda http://www.publimania.com/risate000629.php3
[14] Si veda http://www.journaldunet.com/0101/010130auclandit.shtml
[15] Si veda http://www.journaldunet.com/0207/020717aucland.shtml
[16] Si veda http://www.journaldunet.com/9908/990827ibazar.shtml
[17] Ai tempi Aucland era il leader in Europa. Poi il titolo di campione del continente passerà a iBazar, oppure a QXL. Ovviamente, purtroppo nessuna di queste società ha mai fatto utili.
[18] O Becker ed Edberg, Agassi e Sampras oppure la Navratilova e la Evert, ad esempio.
[19] Solo un anno prima, Bibop-Carire aveva investito ben 20 milioni di Euro per il… 4% della società, valutata quindi ben 500 milioni di Euro. Cifra tonda, ci mancherebbe. Ovvio quindi che ha guadagnato – e molto – solo chi aveva investito all’inizio. Per Bibop-Carire, ad esempio, iBazar è stata un piccolo disastro. Si veda http://www.journaldunet.com/0102/010223ebayibazar.shtml
[20] Sembra che la società debba pagare ancora 7 mesi di stipendi agli ex-dipendenti. Si veda anche http://dipendentibidit.supereva.it/dipendenti.html?p
[21] Si veda MarketPress.net, 11 luglio 2000, pagina 2
[22] In TV con pubblicità curata da Ata De Martini. Si veda http://www.publimania.com/publinews000527.php3
[23] Ricordo con immenso piacere le ragazze di QXL con bandana in testa in fiera a SMAU 2000. Carinissime. Smack Smack :* !Maledetta crisi!
[24] A parere di QXL, la gente su Internet era diventata tutta snob e aveva deciso di voler far finta di fare gli acquisti da Christie’s. Insomma, come ad alcuni piace andare al casinò, al popolo di Internet piace azzuffarsi per comprare attraverso un’asta televisori, lettori dvd e biglietti aerei che possono trovare ovunque e magari a prezzi più bassi. Strana la gente, vero? Sì, ma non così strana…